10 giugno 1940

L'asino vola
8 min readJun 9, 2016

di Gigi Livio

76 anni fa, il 10 giugno del 1940 appunto, l’Italia entrava in guerra contro l’Inghilterra e la Francia a fianco dell’alleato tedesco. Pare che oggi, e cioè l’anno scorso, l’avvenimento, che portò infiniti lutti e sofferenze ai popoli man mano coinvolti in quella che, giustamente, venne definita la Seconda guerra mondiale, non interessi poi molto visto che non viene ricordata se non in sordina. L’epoca nostra, chiamiamola pure postmoderna, intende opporsi alla storia ignorandola (manco a dire, ovviamente, che qui, data l’impostazione della rivista, si intendono segnalare nodi e snodi del pensiero, della politica, della storia contemporanea senza necessariamente approfondirli come forse, in altra sede, sarebbe utile e proficuo fare): ma è proprio l’ignoranza della storia che porta alla situazione attuale e cioè, tra l’altro, a dichiarare (probabilmente in mala fede ma furbescamente) “nuove” cose che sono vecchie e stravecchie.

Riportiamo qui i tratti a nostro parere salienti del discorso mussoliniano della dichiarazione di guerra. Abbiamo messo in evidenza ciò che più, a noi, interessa brevemente commentare:

Combattenti di terra, di mare e dell’aria! Camicie nere della rivoluzione e delle legioni! Uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del regno d’Albania! Ascoltate! Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. L’ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia. Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente, che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia, e spesso insidiato l’esistenza medesima del popolo italiano. […] La nostra coscienza è assolutamente tranquilla. Con voi il mondo intero è testimone che l’Italia del Littorio ha fatto quanto era umanamente possibile per evitare la tormenta che sconvolge l’Europa; ma tutto fu vano. […] Se noi oggi siamo decisi ad affrontare i rischi ed i sacrifici di una guerra, gli è che l’onore, gli interessi, l’avvenire ferreamente lo impongono, poiché un grande popolo è veramente tale se considera sacri i suoi impegni e se non evade dalle prove supreme che determinano il corso della storia. Noi impugniamo le armi per risolvere, dopo il problema risolto delle nostre frontiere continentali, il problema delle nostre frontiere marittime; noi vogliamo spezzare le catene di ordine territoriale e militare che ci soffocano nel nostro mare, poiché un popolo di quarantacinque milioni di anime non è veramente libero se non ha libero l’accesso all’Oceano. Questa lotta gigantesca non è che una fase dello sviluppo logico della nostra rivoluzione; è la lotta dei popoli poveri e numerosi di braccia contro gli affamatori che detengono ferocemente il monopolio di tutele ricchezze e di tutto l’oro della terra; è la lotta dei popoli fecondi e giovani contro i popoli isteriliti e volgenti al tramonto, è la lotta tra due secoli e due idee. […] L’Italia, proletaria e fascista, è per la terza volta in piedi, forte, fiera e compatta come non mai. (La moltitudine grida con una sola voce: “Sì! “). La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti. Essa già trasvola ed accende i cuori dalle Alpi all’Oceano Indiano: vincere! E vinceremo, per dare finalmente un lungo periodo di pace con la giustizia all’Italia, all’Europa, al mondo. Popolo italiano! Corri alle armi, e dimostra la tua tenacia, il tuo coraggio, il tuo valore!

È necessaria una breve premessa. Lo stile di questo discorso, e tanto più il modo come venne pronunciato dal balcone di palazzo Venezia e diffuso in tutte le maggiori città d’Italia da neri altoparlanti lunghi due metri, sembra cosa d’un tempo lontano, morta e sepolta: chi la pensasse così darebbe un esempio di ragionamento, sempre che si possa così definire, falso e superficiale. Riprenderemo l’argomento in conclusione.

Veniamo ai punti del discorso che ci interessano notando subito che, nel complesso, si tratta di un’argomentazione non solo ovviamente guerrafondaia — liquidabile oggi con un banalissimo “facciamo l’amore non facciamo la guerra” dove l’ignoranza della storia fa sì che viviamo in una notte dove tutti i gatti sono neri, senza distinzione alcuna tra gatti di un certo tipo e gatti di un altro — ma soprattutto imperialistica. Abbiamo letto: “Uomini e donne dell’Impero e del regno d’Albania” e cioè dell’Africa orientale italiana (AOI: Somalia, Etiopia e Eritrea), della Libia e, appunto, dell’Albania ‘conquistata’ di recente e aggregata all’impero italiano. La parola del Duce è dunque la parola di un capo di una nazione imperiale.

Primo punto: la guerra in questione è una guerra giusta perché l’Italia fascista, e cioè nella mistificazione di quella dottrina, “rivoluzionaria”, dichiara guerra a nazioni che sono governate da “democrazie plutocratiche e reazionarie” che, per di più hanno “spesso insidiato l’esistenza medesima del popolo italiano”. Il fatto che la guerra sia giusta sta nel concetto di difesa: è una guerra di difesa contro le nazioni che hanno attentato all’esistenza del popolo italiano. Ovviamente, al contrario, si tratta di una guerra d’aggressione per sfruttare il vantaggio che l’alleato nazista garantisce (per ora: tutti sappiamo come è andata a finire), naturalmente altrettanto imperialista, che nel frattempo ha già invaso la Polonia [e il Belgio?].

E poi si tratta di eliminare due democrazie reazionarie e plutocratiche: reazionarie perché non rivoluzionarie come Mussolini vuol far credere sia la dittatura sua e del suo partito, plutocratiche perché si tratta di democrazie solo di nome ma di fatto di stati retti dai grandi poteri economici.

E, su questo, si potrebbe anche discutere, come è evidente a tutti oggi più che mai, non fosse che l’Italia fascista divenne tale proprio per l’appoggio del re, dei grandi proprietari agrari del Sud e dei grandi industriali del Nord. Se certe democrazie, ieri come oggi, si rivelano di fatto delle plutocrazie cos’era l’Italia fascista? Una plutodittatura che si spacciava per rivoluzionaria perché aveva attuato, parola di Mussolini, una rivoluzione postuma e preventiva: cioè una controrivoluzione.
L’ipocrisia omicida della “guerra giusta” è oggi più viva che mai nella propaganda del cosiddetto neoimperialismo che “neo”, come si può constatare da questo discorso, è solo di nome.

Secondo punto. L’imperialista Mussolini usa la tattica svisatoria tipica di chi è come lui: l’Italia, beninteso “del Littorio”, ha fatto tutto ciò che poteva per evitare la guerra ma, a un certo punto, “l’onore” e “gli interessi” e “l’avvenire” impongono al popolo italiano di considerare “sacri i suoi impegni” e non fuggire di fronte alle “prove supreme che determinano il corso della storia”. Notiamo subito che l’onore viene prima di tutto e non c’è parola più screditata nell’epoca moderna (basti pensare al “delitto d’onore”, per fare un esempio che, solo apparentemente però, non c’entra nulla con una guerra d’aggressione), ma, subito dopo, ci sono gli interessi, tutti gli interessi che si possono compendiare in quello della conquista di nuovi mercati; e questi interessi sono strettamente legati all’avvenire, al futuro della Patria, ovviamente, che tanto più sarà ricca tanto più sarà potente per divenire sempre più ricca: quello che il fiero Duce non dice è che gli interessi sono quelli di chi non solo ha decretato il suo trionfo, e di cui abbiamo già detto, ma che ha continuato col proprio potere economico a mantenere il suo potere politico.

Terzo punto: la lotta dei popoli poveri contro i popoli ricchi. Oggi siamo più espliciti e impudichi: Reagan ha proclamato che il tenore di vita degli americani, e cioè degli statunitensi, era intoccabile. Ma in quell’impasto mostruoso di socialismo virato in fascismo che è proprio del pensiero mussoliniano, e non solo suo, un’altra giustificazione è data dal fatto che il popolo italiano è un popolo “povero”, e già che c’è il dire ducesco accomuna implicitamente gli italiani e i tedeschi, e ha quindi il diritto di fare la guerra ai popoli ricchi qui definiti decisamente “affamatori”.

L’ex socialista divenuto fascista e capo del fascismo sostituisce la lotta di classe con la lotta di popoli, come se, all’interno dei popoli, non ci fossero classi.

D’altronde ha avuto precursori, come ben si sa: in Italia, Pascoli, ai tempi della guerra di Libia scrisse il famoso discorso La grande proletaria s’è mossa dove “la grande proletaria” è appunto l’Italia, il popolo italiano.

Quarto e ultimo punto: si fa la guerra per portare la pace, “un lungo periodo di pace”. Ai tempi della guerra degli Usa e della Nato contro l’Iraq quella guerra avrebbe dovuto portare la pace nella zona, zona che, al contrario, è esplosa come una polveriera. Ma non è che un esempio: il fatto è che l’imperialismo è sempre uguale non solo nella sua rapacità del tutto indifferente nei confronti delle sofferenze umane che procura, morte e distruzione, ma anche nell’impostazione della propaganda e cioè dell’ideologia, come falsa coscienza ovviamente, che utilizza per nascondere i propri crimini gabellandoli per qualcosa di nobile, “un lungo periodo di pace” appunto.

Riprendiamo, per concludere, il discorso impostato nella breve premessa. Sembra che sia cambiato tutto perché per comunicare Mussolini usa gli strumenti tecnici di allora atti allo scopo; oggi, da questo punto di vista, tutto è cambiato: la televisione ha trasferito il comizio di piazza in salotto e coloro che intendono comunicare hanno assunto toni diversi, più suadenti e meno perentori, apparentemente meno retorici.

Ma la retorica, se bene la si intende, non è legata soltanto alla reboanza tribunizia ma è qualcosa di più sottile e insinuante che è ben presente anche oggi nei discorsi salottieri della televisione.

C’è retorica, intesa nel senso in cui la usiamo qui perché altre significazioni sono legate al termine, quando c’è intenzione di persuasione menzognera: il retore è dunque colui che vuole persuadere qualcuno a vedere la realtà in modo distorto e falso usando stile e argomenti che con vari espedienti servano al suo scopo. Le tematiche, lo abbiamo appena visto per quelle dell’imperialismo, sono sempre le stesse, il modo per proporle è cambiato, ma solo in apparenza. Solo coloro che ignorano la storia possono credere a chi parla loro del “nuovo” mentre propone cose non solo vecchie ma stravecchie. Per poter pensare a un riscatto, anche solo iniziale, dell’attuale mondo occidentale, avvolto nelle spire della retorica in tutti i campi, bisogna ancora una volta partire dalla scuola; e, segnatamente, dallo studio della storia condotto in un certo modo, è fin troppo ovvio notarlo, perché non bisogna mai dimenticare che la storia la scrivono i vincitori e che i vincitori di ieri sono sempre gli stessi, proprio come i vinti.

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scritti molesti sullo spettacolo e la cultura nel tempo dell'emergenza

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