Il sonno della scuola genera esperti di didattica
di Gigi Livio
È evidente a tutti la crisi della scuola. Questo fenomeno, terribilmente negativo e pericoloso, sta facendo sì che molti, certamente troppi, si sentano in dovere di dire la propria. Il punto è però, come sempre, quello costituito dal fatto che per poter discutere di un problema bisogna anche conoscerlo, quel problema, e piuttosto a fondo.
Non mi occupo specificamente di didattica, ma ho insegnato tutta la vita e ora, giunto al prefinale della stessa, mi trovo a non resistere a controbattere certe posizioni che ritengo sbagliate e, soprattutto, nocive alla scuola; posizioni che anziché servire a tentare, per quanto è possibile, a uscire, almeno parzialmente, dalla notte oscura in cui l’istituzione scolastica è sprofondata servono semmai a aggravarla e a far sì che si involva sempre più nelle spire della decadenza.
Appartiene, almeno io penso appartenga, a questa serie di inesperti, diciamo dilettanti -così immettiamo un elemento chiarificatore nell’evocare, col termine “dilettantismo”, tanta politica italiana di questi giorni e, dunque, troviamo un netto legame tra dilettantismo e dilettantismo- inesperti, dicevo, che salgono in cattedra e che si impancano a giudici, Francesco Borgonovo, giornalista trentacinquenne, che scrive sul quotidiano che s’intitola “La Verità”, proprio così, “verità” con tanto di maiuscola. E se qualcuno è tentato di sorridere pensi alla temperie politico-economica che stiamo vivendo e il sorriso gli si gelerà sulle labbra.
Intendo prendere le mosse dal titolo dell’articolo di Borgonovo, pubblicato il 17 ottobre. Chiarisco:
prendere le mosse con uno scopo ben preciso e cioè quello di denunciare un dilettantismo diffuso e nocivo nel trattare i problemi della scuola;
al contrario, non mi interessa affatto confutare le sciocchezze, per me sia ben chiaro, che il giornalista scrive perché il basso livello dei suoi pseudoragionamenti, basati su citazioni tendenziose, non mi interessa. Dica, scriva; e lascia pur grattar dov’è la rogna.
Ma lo scritto del giornalista si rivela come sintomo di un problema preoccupante. Infatti, anche se non è certo la prima volta che inesperti dilettati pretendano di dare giudizi a destra e a manca rimane però il fatto che
quando il dilettantismo rischia di orientare l’opinione pubblica in una certa direzione, allora la distorsione della realtà diventa culturalmente e politicamente pericolosa, appunto, molto pericolosa.
Torniamo al titolo: l’articolo inizia in prima pagina e così è rubricato:
A scuola usano il Manzoni contro i populisti. Il sottotitolo rincara: Arruolati pure Alfieri e Foscolo: così uno dei più diffusi libri di letteratura indottrina gli studenti.
Ora, si sa, i titoli non vengono scritti dall’autore dell’articolo, e quindi Borgonovo non sarebbe responsabile dei termini con cui il titolo rende i temi che egli tratta nel suo scritto. Ma “sarebbe”. E, infatti, nelle cose invece lo è perché il giornalista, qualora non fosse d’accordo con il modo in cui è stato sintetizzato il suo articolo, avrebbe potuto rettificarlo come più volte è successo nel giornalismo, per così dire, di livello alto. Non mi risulta che Borgonovo, visto che titoli e sottotitoli corrispondono al contenuto del suo scritto, abbia smentito alcunché.
L’articolo prosegue in tredicesima pagina e si fregia di un nuovo titolo. Eccolo:
Nelle scuole milioni di copie del libro che usa Manzoni contro i populisti;
rincara il sottotitolo che risulta, di fatto, una sintesi per il lettore frettoloso al fine di esentarlo dal leggere l’articolo per intero:
È uno dei manuali di letteratura più diffuso alle superiori e spiega che i critici della moneta unica sono come la “folla farneticante” dei “Promessi sposi”. Parini, invece, viene sfruttato per la propaganda pro migranti.
Come si vede, titoli e sottotitoli a effetto (Manzoni in testa, è ovvio: l’accusa sottintesa di lesa maestà è evidente perché la maestà di Manzoni non è da mettere in dubbio: ma direbbe l’ingenuo cólto, e Dante e Shakespeare e altri? gli verrebbe risposto: anticaglie!) per colpire immediatamente con un bel pugno nello stomaco il lettore che, per conto suo, e se legge “La Verità” (invito nuovamente le mie gentili lettrici e i miei simpatici lettori a notare: “v” maiuscola; Pirandello, per contro, scriveva “verità”, come sanno tutti coloro che hanno letto almeno il finale di Così è (se vi pare)), già è convinto che i professori, oltre a essere tutti dei fannulloni sono altresì tutti di sinistra (ma si sa, per certi seguaci di determinate ideologie, essere “umani” vuol dire essere “di sinistra”).
Il pugilatore veritiero (o veritista?) però non si ferma qui. Nel primo sottotitolo compare il termine “indottrina” che rispecchia fedelmente ciò che insinua, senza usare direttamente questa parola, Borgonovo nel suo testo. Soffermiamoci quindi un momento sul termine: “indottrinare”, appunto. Sul Grande dizionario della lingua italiana della Utet leggo, volume VII, pagina 843, la seguente spiegazione: “Addottrinare (con particolare riferimento, nel linguaggio attuale, alla propaganda politica e ideologica)” e, nella sottostante spiegazione etimologica “Derivato da addottrinare per cambio di prefisso”. Ora dunque, di necessità,
andiamo alla voce “addottrinare”, volume I, pagina 163, dove troviamo scritto: “Istruire, educare; far dotto, informato (in una dottrina, scienza, arte)”.
Da questa breve esplorazione lessicale ci accorgiamo immediatamente che il lemma, usato certamente in modo sprezzante, al contrario può essere rivoltato addirittura in un complimento.
Infatti, ed è soprattutto ciò che mi preme qui dire, questo libro, di cui anch’io sono parte, ha proprio l’intenzione di “addottrinare” gli studenti e pertanto di istruirli, educarli, appunto, cercando di rendere per loro più interessanti quegli autori che i poveri ragazzi -malamente catechizzati da tutta una cultura che negando la storia, e magari affermando che le ideologie sono morte, vuole abolire il ricordo del passato e di conseguenza quello dei grandi scrittori-pensatori delle epoche trascorse, remote o prossime che siano- hanno ben poca voglia di affrontare. E chiunque insegni o abbia insegnato in questo tempo, in qualsiasi ordine e grado di scuola dalle elementari all’università, conosce molto bene la difficoltà di trasmettere il sapere, soprattutto quello letterario che, come l’arte e la cultura di cui fa parte, lo sappiamo bene, teste il ministro dell’economia innovativa dell’era berlusconiana, non danno da mangiare. Ora il libro di cui si tratta, giunto alla sua settima edizione, con la rubrica da Borgonovo incriminata, Che cosa ci dicono ancora oggi i classici, intende mettere in rilievo ancora più nettamente e decisamente ciò che era comunque implicito fin dalla prima edizione e cioè lo stretto legame fra il passato e il presente e l’importanza della storia, nel nostro caso la storia della letteratura che è strettamente congiunta a quella socio-politica-economica, per comprendere meglio il nostro tempo. Dire che probabilmente c’è un motivo, e un motivo forte, per cui grandi scrittori del nostro passato recente, come Pound, Eliot, Joyce e Beckett hanno guardato e addirittura “utilizzato” Dante nelle proprie opere è certamente addottrinare i giovani cercando di spiegare loro che se Dante è stato vivo fino a cinquanta/ottant’anni fa è vivo certamente ancora oggi. E riuscire a spiegare il motivo della persistenza del pensiero e del dettato danteschi oggi vuol dire proprio, e siamo al nucleo del problema, affermare con forza che la storia può ancora esserci compagna di strada, che forse è dire più e meglio che “maestra di vita”. E, contemporaneamente, far sentire vivo e pulsante il pensiero di quei grandi che, scavando così a fondo nel loro presente, riuscirono a individuare gli elementi fondanti di ciò che sarebbe divenuto reale, e devastante, tanto tempo dopo.
Spiegare ai giovani studenti queste radici è inoltre, e lo sanno bene tutti gli insegnanti, probabilmente l’unico modo per rendere vivo ciò che qualcuno ha tutto l’interesse a far credere loro che sia morto e sepolto.
La conclusione è implicita in quello che ho scritto, ma, per chiarire meglio ciò che intendo affermare, la rendo del tutto esplicita. Nell’articolo di Borgonovo non si parla di negazione della storia, ma l’insistere del giornalista su quelle che egli ritiene forzature del passato è certamente sospetto, più che sospetto. L’attualità della letteratura a lui non interessa poiché nulla oppone in positivo a ciò ch’egli ritiene negativo. La sua argomentazione, infatti, si rivela come un perfetto esempio del modo di pensare del nostro tempo un tempo che, benché alcuni si affannino a rubricare in altro modo, è ancora quello del postmoderno. Ciò che il movimento economico affermava sul piano materiale e cioè il sempre più feroce sfruttamento dell’uomo sull’uomo, compreso quello di un popolo su un altro popolo, la cultura postmoderna si incaricava di inverare sul piano spirituale: l’azzeramento della storia serviva ai pochi sfruttatori per far sì che gli sfruttati, i molti, non si accorgessero, non conoscendo le proprie radici, di essere tali ma, al contrario, credessero di far parte del benessere generale che, contemporaneamente, furbizia del capitalismo, la società elargiva loro, se pur col contagocce. E venne la crisi economica, la grande crisi che inizia nel 2008 e negli Usa, e i molti scoprirono improvvisamente di essere divenuti poveri: eccoli pronti -grazie alla diffusione capillare della cultura postmoderna opportunamente volgarizzata- a lasciarsi catturare dalla peggiore propaganda populista che promette loro una possibilità di riscatto senza rendersi conto, al contrario, che seguirla rappresenta soltanto un aggravamento delle proprie catene. Il governo attuale è il frutto evidente di questo errore di prospettiva epocale che ci sta trascinando nel baratro.
Ed è proprio lì che la scuola dovrebbe (il condizionale è ovviamente d’obbligo per chi intende guardare la realtà con occhi limpidi senza lasciarsi trascinare da illusorie speranze scambiando la realtà vera e nuda con i propri desideri) agire formando studenti che esercitino il loro pensiero critico su ciò che stanno vivendo. E siamo, in fine, a ciò che disturba terribilmente Borgonovo: il fatto che gli studenti possano pensare e cioè che siano in grado di rendersi conto, grazie alla scuola, del basso stato e frale in cui l’uomo vive ed è immerso che non è più soltanto quello ‘naturale’ leopardiano, ma soprattutto quello sociale così progettato e fatto divenire realtà da pochi uomini che però hanno in mano il potere economico e quello politico e, di conseguenza, quello ideologico del nostro paese.