Edorardo Sanguineti

Intervista a Franco Prono su un seminario tenuto da Edoardo Sanguineti al Dams di Torino nel 2004 il cui testo viene ora pubblicato e curato dallo stesso Prono e da Clara Allasia.

L'asino vola
7 min readFeb 19, 2018

L’intervista è a cura di Gigi Livio e Ariela Stingi.

Con questa intervista a Franco Prono, docente di Storia del cinema italiano all’Università di Torino, apriamo questo numero della rivista -con l’intenzione di proseguire per altri numeri- per cercare di comprendere il complesso approccio del poeta al cinema. Ma non solo: è nostra intenzione, infatti, procedere sulla strada di una esplorazione del lavoro sanguinetiano anche in altre direzioni come, per esempio, quella di tentare di puntualizzare il posto che occupa la poetica artistica e critica di Sanguineti, poiché egli fu anche un critico di vaglia, nei confronti del panorama letterario e non solo dei nostri anni.

Del rapporto di Sanguineti con l’avanguardia intende occuparsi il secondo articolo di questo numero che costituisce l’inizio di un discorso, da pubblicarsi “a puntate”, e che prende spunto da due libri da noi giudicati di notevole spessore e impegno critico: E. Sanguineti, Un poeta al cinema, a cura di Franco Prono e Clara Allasia, Acireale-Roma, Bonanno, 2017 e C. Allasia, «La testa in tempesta». Edoardo Sanguineti e le distrazioni di un chierico, Novara, Interlinea, 2017.

Il Seminario cui si accenna nell’intervista è stato voluto e organizzato da Franco Prono e si è svolto al Dams di questa città nel maggio del 2004. Il testo del volume è ricavato dalla trascrizione di queste lezioni sanguinetiane.

Prono: Nel 2005 ho invitato Edoardo Sanguineti a tenere un Seminario sul cinema al DAMS dell’Università di Torino all’interno di un’iniziativa che per qualche anno ha coinvolto letterati, artisti, musicisti come Gianni Celati, Guido Ceronetti, Franco Battiato, Paolo Conte e Gianni Vattimo. Sono convinto che sia molto stimolante sentir parlare di cinema studiosi e artisti attivi in altre discipline, in quanto gli esperti di cinema elaborano i loro discorsi in modo per lo più prevedibile, secondo schemi teorici e analitici a cui sono/siamo abituati, mentre capita spesso che scrittori, poeti, pittori, filosofi offrano approcci nuovi, originali. Talvolta essi fanno degli errori di interpretazione, non colgono alcuni importanti dettagli del linguaggio audiovisivo, ma credo che sia molto interessante prendere in considerazione il loro punto di vista originale e inconsueto. Infatti, sono convinto che cinema e letteratura siano due forme espressive del tutto autonome, dotate di linguaggi molto diversi, le quali tuttavia non possono che trarre giovamento da un confronto reciproco.

Purtroppo moltissimi film che si vedono oggi sono molto “letterari”, basati unicamente sulla narrazione, mentre secondo me il cinema in quanto forma espressiva autonoma non deve imitare letteratura, l’arte figurativa, il teatro, a meno che utilizzi ad esempio il linguaggio del teatro per assumere un punto di vista straniato che denunci la finzione della messinscena.

La funzione fondamentale del romanzo è quella di raccontare, la funzione fondamentale del cinema è quella di mostrare immagini

(e far sentire suoni), per cui la componente narrativa all’interno dello spettacolo audiovisivo può anche essere quasi o del tutto assente, come dimostrano tutte le Avanguardie, dal Futurismo all’Underground. A mio pare un film raggiunge il più alto livello espressivo non quando pone come principale centro di interesse la storia, ma quando offre allo spettatore un elevato livello di visionarietà. È evidente che non basta una bella storia per fare un buon film, è necessaria invece la capacità di creare un universo visionario dotato di valore espressivo. Sono in perfetta sintonia con Edoardo Sanguineti quando imposta il discorso sul cinema partendo dai film delle Avanguardie degli anni Venti e Trenta del Novecento, nei quali la narrazione non c’era o era frantumata, dissolta, conformemente a quanto avveniva nel campo della letteratura coeva.

Livio: Volevo tornare su una cosa che hai detto prima quando hai parlato del problema della narrazione o della non narrazione a proposito del film. Nel momento in cui uno spettatore si avvicina a questo oggetto misterioso, diciamo così, e cioè a un film d’avanguardia, che è sempre difficile da decifrare, si accorge però immediatamente che anche nella letteratura di avanguardia, come tu peraltro hai detto, la trama è saltata. Anche in questo caso abbiamo un rapporto evidente cinema- letteratura?

Prono: Naturalmente l’Avanguardia cinematografica non è caratterizzata soltanto dall’assenza della narrazione tradizionale. Nell’ambiente culturale del Dadaismo/Surrealismo film come Un chien andalou e L’âge d’or possiedono

fotogramma tratto da Un Chien Andalou, di Luis Bunuel, 1929.

con evidenza caratteristiche formali e concettuali, molto diverse da quelle tipiche del cinema tradizionale: non soltanto una narrazione frantumata e sconnessa (L’âge d’or inizia con un breve documentario sugli scorpioni, prosegue con una sequenza in cui compaiono degli strani “pirati maiorchini”, poi abbiamo la “fondazione di Roma” e così via…), ma anche visioni oniriche, personaggi e situazioni straniati, inquadrature prive di logica, montaggio assurdo, irrazionale. Si tratta di innovazioni linguistiche, stilistiche e concettuali che hanno il loro corrispettivo nella letteratura, nella musica e nell’arte figurativa degli anni Venti e Trenta del secolo scorso.

Livio: Tornando al seminario di Sanguineti: che risultato ha avuto per i tuoi studenti? Come ne hanno usufruito?

Prono: Mi è difficile rispondere a questa domanda perché gli studenti del Seminario non erano numerosissimi (saranno stati forse una trentina) e in un’aula universitaria non è mai possibile — a differenza delle scuole di livello inferiore — individuare con precisione la fisionomia culturale degli studenti: a quale Corso di laurea appartengono? La loro presenza è dovuta ad un interesse personale o alla preparazione di una tesi di Laurea, o ad una semplice curiosità intellettuale? Posso solo dire che gli studenti presenti al Seminario erano certamente molto interessati e l’hanno seguito dall’inizio alla fine; credo però che nessuno di loro abbia proseguito l’approfondimento degli argomenti trattati da Sanguineti preferendo campi di ricerca meno difficili e impegnativi…

Livio: Debbo dire che, leggendo questo libro, anch’io ho avuto la netta impressione che alla fine risulti un libro per puri specialisti, anche se questa impressione può essere legata alla decadenza degli studi: infatti mi sa che oggi in diverse Facoltà, fermiamoci a quelle che conosciamo, di avanguardia non si parla proprio, o poco, molto poco.

Prono: Durante il Seminario di Sanguineti ci sono stati pochissimi interventi e domande da parte degli studenti perché indubbiamente il discorso era di un livello molto elevato, insolito per chi, nel migliore dei casi, esce dalla scuola superiore con una certa conoscenza di Dante, Manzoni e Leopardi, ma pochissima o nessuna su Rimbaud, Lautréamont, Queneau, Palazzeschi, Joyce, Beckett, Pound e così via. Io stesso non ho affatto capito i riferimenti di Sanguineti agli scritti di Lucien Goldmann su Racine e non ho voluto interromperlo per chiedergli spiegazioni in merito. Infatti gli studenti hanno fatto vari interventi dopo le proiezioni di Zero in condotta di Jean Vigo e Vampyr di Carl Theodor Dreyer perché era più facile esprimere le loro opinioni sui due film, che in molti casi non avevano mai visto prima e ne erano rimasti molto colpiti.

Livio: Ecco vedi la diversità: quando io ero studente Sanguineti aveva avuto per un anno l’incarico di Letteratura italiana e io ho seguito tutte, o quasi, le lezioni del corso. Noi capivamo tutto; era un corso su Gozzano però Sanguineti citava Benjamin, citava Adorno in un tempo in cui noi, al massimo, conoscevamo un po’ Lukács ma di Benjamin e di Adorno sapevamo assai poco. Sanguineti parlava come parla qui però noi capivamo tutto, o quasi.

Prono: Ho l’impressione che nel Seminario Sanguineti abbia cercato di esprimersi in modo semplice, per poter essere capito anche dagli studenti di oggi: se avesse scritto un saggio sugli stessi argomenti, avrebbe certamente utilizzato un linguaggio più complesso e avrebbe proposto dei riferimenti culturali più ampi e meno noti…

Livio: Beh, lui era anche professore, conosceva bene il linguaggio da usare con gli studenti.

Prono: Quando chiesi a Sanguineti di fare un Seminario sul cinema al DAMS, lui accettò immediatamente indicandomi già il titolo: Il montaggio nella cultura del Novecento. La sua risposta mi entusiasmò perché questo titolo riconosceva da un lato l’importanza e l’autonomia del linguaggio cinematografico (il montaggio) rispetto alle altre forme espressive, e dall’altro il ruolo del cinema nel costante dialogo e confronto con gli altri settori della cultura.

All’inizio della sua prima lezione, egli affermò che a suo parere il cinema non è uno dei tanti aspetti della cultura del Novecento, ma quello fondamentale in quanto ci ha insegnato a vedere la realtà in modo nuovo, diverso da quello precedente.

Non posso negare che non condivido completamente tutto ciò che Sanguineti ha detto nei due giorni al DAMS: ho perplessità ad esempio sull’importanza del cinema di Lars von Trier per quanto riguarda le innovazioni del montaggio, mentre riconosco le novità a livello tematico e a livello di visionarietà.

Livio: Penso che al discorso di Sanguineti si possano fare anche critiche di altro tipo, più generali. Infatti egli ha sempre ritenuto che si debba difendere tutto ciò che viene rubricato come avanguardia. Ora, io non sono così convinto che, escludendo Godard, gli altri registi della Nouvelle vague siano di vera avanguardia. Invece lui, pur parlando quasi esclusivamente di Godard, ci tiene però molto a difendere tutta la Nouvelle Vague. Mentre…

Prono: Sì, infatti, tra i cineasti della Nouvelle vague Sanguineti privilegia nettamente Godard affermando che con i suoi film ha portato avanti e rinnovato in modo organico, nella teoria come nella prassi, i principi di montaggio elaborati da Ėjzenštejn nei suoi scritti e nei suoi film. Nel Seminario torinese non ha citato film della Nouvelle vague realizzati da altri registi in quanto — a mio parere — non hanno nulla a che fare con il rinnovamento linguistico/stilistico che Godard ha portato avanti soprattutto a livello di montaggio. I film — talora molto belli di Truffaut, Chabrol, Malle, Rivette, Marker, Resnais, Varda e altri, sono innovativi rispetto al cinema francese dell’epoca ma non propongono, come fa Godard, un linguaggio cinematografico nuovo, un tipo nuovo di montaggio. Ecco perché Sanguineti parla soltanto dei film di Godard.

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