Vista d’insieme dell’esposizione “Richard Long”, 19/11/2002. A parete: Water/Fire/Settled-Still/Unsettled-Travelling — Fango su muro. A pavimento: Meandering Line-Marmo. Foto: Enzo Ricci

Intervista a Tucci Russo, gallerista.

L'asino vola
11 min readJan 10, 2017

di Gigi Livio e Ariela Stingi

In questo primo scorcio del 2017 proponiamo l’intervista qui sotto riportata, realizzata alla fine del 2016, come una sorta di augurio che facciamo a noi stessi e alla rivista.

Questo auto-augurio consiste nell’auspicarci di riuscire a aprire un nuovo campo d’indagine per l’ “Asino vola” sull’arte contemporanea che intenderemmo guardare, possibilmente, con occhio non banale e conformistico.

In questa prospettiva iniziamo con le parole di Tucci Russo, uno dei pochi GALLERISTI rimasti oggi in Italia e cioè intellettuali e conoscitori che, in quanto tali, sono promotori di arte e si oppongono non al mercato dell’arte in sé, ma ai MERCANTI di arte, che sono altra cosa.

La redazione d’autore di questo pezzo è di Lisa e Tucci Russo, come la scelta delle immagini che lo corredano: e di questo lavoro siamo loro grati.

La seconda parte dell’intervista verrà pubblicata nel numero di febbraio della rivista.

Thomas Schütte, Konferenz , 2002 — Ferro, terracotta — Esposizione: Thomas Schütte “Neue Arbeiten” — Aprile 2002 — Foto: Paolo Mussat Sartor

Stingi-Livio. Ci sembra che potremmo iniziare da ciò che si diceva prima e cioè dalla spinta propulsiva delle avanguardie a partire dagli anni cinquanta.

Tucci Russo. Quello che volevo dire è che mentre nascono le avanguardie delle arti figurative, nel sistema generale europeo, ma direi internazionale, tutti i linguaggi si muovono e si rinnovano e si incontrano. E si incontrano con naturalezza al di là delle questioni di mercato se è quello di cui poi dobbiamo parlare, cioè intendo che la creatività sorge spontanea in quegli anni. L’artista, infatti, non pensa a fare un investimento mercantile del proprio lavoro, ma pensa a fare dell’arte, che è importantissimo, che è basico, poi nel tempo le cose cambieranno ma in quegli anni c’era assolutamente un momento di grande trasparenza e limpidezza dal punto di vista creativo.

S-L. Ma, almeno dal punto di vista teatrale, non c’era di fatto una vera e propria poetica comune e pertanto l’avanguardia teatrale non ha assolutamente conosciuto la struttura di gruppo, non l’ha conosciuta proprio perché ciascuno andava per conto proprio: tra Leo e Perla e Carmelo Bene c’era sì intesa esteriore ma poi ciascuno frequentava una poetica diversa.

TR. È stato un momento molto molto importante, perché c’erano delle affinità pur in assenza di frequentazione… cioè Carmelo Bene non era uno che frequentasse le arti figurative, non aveva rapporto con gli artisti, però c’era comunque una sintonia che era nell’aria: quando sono andato a vedere il Don Chisciotte, che fece all’Unione Culturale di Torino, lui aveva costruito una piccola scenografia mettendo dei vetri rotti per terra e mettendosi una sorta di corazza addosso…

S-L. E com’era questo Don Chisciotte con solo Carmelo? La tua testimonianza è particolarmente interessante perché poi, al Gobetti, c’erano anche Leo e Perla.

TR: A me era piaciuto molto nel senso che lui era diverso dall’ immagine dell’attore di teatro che tradizionalmente si aveva e che io stesso avevo, già nel Don Chisciotte veniva fuori, ma…il modo di muoversi, il modo di essere, quasi lui entrasse dentro alle parole, non so come dirti, poi mi era piaciuta molto questa scenografia, sai frequentando l’Arte Povera, Merz che usa i vetri rotti per gli Igloo, lui che usa il vetro rotto per fare la sua scenografia, ecco voglio dire piccole sintonie magari casuali, però presenti. E poi non era una casualità. Io avevo fatto questa associazione perché anch’io ero rimasto… in quegli anni pur essendo diciamo un uomo di strada, perché allora ci si incontrava così nel centro di Torino, incontravi persone meravigliose cosa che oggi non succede più, impossibile direi… ero rimasto molto incuriosito dal modo di muoversi di questi artisti che poi sono diventati miei amici eccetera. Proprio il rinnovamento dei linguaggi, per tornare a ciò che dicevamo prima. Da noi qui arrivano le prime cose dall’America, i minimalisti e subito dopo i minimalisti i concettuali, che avevano creato un po’ di terrorismo perché quando entravi in una galleria non c’era nulla di tridimensionalmente concreto, ma c’era una frase scritta sulla parete che visualizzandola ti permetteva di creare l’opera, potevi restare un attimo interdetto in quegli anni. Quindi sono stati anni proprio straordinari, ma questa, chiamiamola così, purezza e questo intreccio di dialoghi dura fino agli anni Ottanta. Negli anni Ottanta le gallerie erano frequentate molto poco ed erano quasi per addetti ai lavori o per gente che arrivava dall’estero; inoltre, qui, non avevamo istituzioni. L’unica mostra che fu fatta allora, nel 1970, con grande difficoltà alla Galleria d’Arte Moderna a Torino, di cui era direttore Luigi Mallè, fu quella intitolata “Conceptual Art, Arte Povera, Land Art” e fu curata da Germano Celant. Questa mostra ruppe gli schemi e portò nella città di Torino, in una struttura pubblica istituzionale, quella che era la creatività americana, inglese, tedesca e così via e degli artisti dell’Arte Povera presenti in questa mostra. Io andavo a parlare col pubblico, facevo un po’ l’accompagnatore e ricordo che molti erano addirittura aggressivi, dicevano “questa è arte?”, dicevano cose terribili. Però guarda caso proprio i più aggressivi la domenica dopo tornavano a vederla. Allora vuol dire che questo tipo di arte aveva dentro un messaggio di altro genere, che comunicava per altre strade.

S-L. Senti, scusa se torniamo al teatro, ma ci dici qualcosa della Faticosa messa in scena dell’Amleto di William Shakespeare di Leo e Perla? Hai detto di aver collaborato…

TR. Sì ho collaborato, abbiamo collaborato, io, Gianni Milano e Vasco Are. Gianni Milano era conosciuto, era chiamato il maestro capellone, perché è stato il primo maestro di scuola elementare che incominciò a farsi crescere i capelli, andava a insegnare agli zingari, ai bambini degli zingari, eccetera, quindi una figura un po’ diversa. Infatti ne parlarono tutti i giornali d’Italia. Con lui fondammo una casa editrice che si chiamava Pithecanthropus di cui l’editore responsabile era Vasco Are, una cosa fatta tra di noi diciamo. I libricini avevano preso l’ immagine iconografica dai City Light Book di Ferlinghetti. Chi ci aveva dato una mano, dal punto di vista dell’immagine grafica era stato Angelo Pezzana della Hellas. Li aveva messi in vendita in libreria e noi li avevamo distribuiti nelle gallerie d’arte. Per tornare invece a Leo e Perla loro sapevano che noi avevamo scritto queste cose e ci avevano chiesto se a un certo punto dello spettacolo… io ricordo che c’era anche una proiezione, mi pare, sono passati tanti anni e non ricordo bene, e loro ci chiesero a un certo punto di intervenire a nostro piacimento all’interno di quello che loro facevano, in maniera totalmente free, per cui ognuno di noi lesse alcune poesie e poi la cosa si fermò lì. Lo spettacolo era il loro spettacolo. Tutto ciò avvenne all’Unione Culturale.

S-L. Poi c’è anche Quartucci…

TR. Quartucci è l’unico che ha avuto collaborazione con gli artisti, con Kounellis ha avuto un buon rapporto, anche con Paolini, sì… moltissimo…

S-L. Ci dici qualcosa di Kounellis?

TR. Kounellis è un bravo artista.Con lui ho fatto una bellissima mostra nel 1977 che ha richiesto tempo e impegno. Trasformò una delle colonne della galleria intervenendo con una banda di lamiera in una specie di colonna tortile su cui era appoggiato un trenino immobile, ma con una mobilità potenziale. Le finestre furono chiuse con delle lastre di lamiera lasciando un solo vetro libero che permettesse la visione ancora del cielo. Sulla parete dietro la colonna venne incisa una specie di “x”, all’interno di questo solco Kounellis mise del catrame. Era una mostra molto dechirichiana, metafisica. Non è stato possibile dare continuità a questa nostra collaborazione in quanto avevamo delle visioni diverse sulla gestione del lavoro all’interno del sistema dell’arte nonostante, ancora oggi, ritengo esista una reciproca stima.

S-L. Lui si dichiara comunista ci sembra… o socialista.

TR. Jannis sa esattamente quello che il comunismo può intendere come potere e si sa gestire ottimamente nel sistema.

A questo punto, avete domande da farmi?

S-L. Iniziamo con una domanda secca: qual è per te la differenza che passa tra gallerista e mercante?

TR. Quando lavori con talmente tanti artisti da non riuscire più ad avere un dialogo sul lavoro con loro, ecco questo è il punto di svolta. Per parlare della mia storia personale questo è stato il motivo per cui ho interrotto la mia collaborazione da Sperone, che ha molti meriti, tra gli altri è stato il tramite del mercato americano in Europa per la Pop Art. Cosa interessante, ma l’economia lo spinse man mano nel tempo a chiudere i rapporti con quella situazione di ricerca che era quella dell’Arte Povera, che abbandonò totalmente, e si trasformò in un mercante. Pensiamo agli anni ’80; gli anni ’80 sono il momento in cui appare nuovamente la pittura nel percorso delle arti figurative. Nasce la transavanguardia con artisti come Sandro Chia, Enzo Cucchi, Francesco Clemente, Mimmo Paladino e così via. Io stesso presentai Sandro Chia e Enzo Cucchi, nella seconda metà degli anni Settanta, immediatamente prima della nascita del gruppo della transavanguardia. Ad esempio nel 1976 feci la mostra nella sede di allora a Torino in Corso Tassoni, di Sandro Chia. Era una mostra che tendenzialmente ancora si appoggiava ideologicamente diciamo e strizzava l’occhio alle cose concettuali, all’Arte Povera. La mostra nasceva da due brevi poesie scritte da lui, quasi delle filastrocche, che narravano la storia di un asinello e di un’asinella. Le due poesie si sviluppavano metaforicamente nello spazio attraverso dei piccoli oggetti, sculture ma anche dei disegni figurativi.

S-L. Dicevi di un asinello… Scusa il nostro interesse “corporativo”…

TR. Sì un asinello e un’asinella che chiacchierando tra di loro si chiedevano dove i mobili della loro casa fossero collocati ed erano collocati nello spazio della galleria dove creammo delle nicchie nelle pareti per ospitare dei piccoli mobiletti, a lato vennero appesi i disegni che rappresentavano l’asinello e l’asinella. Erano i primi momenti figurativi. Chia iniziò a realizzare opere figurative, disegni, quadri, acquerelli e Sperone appena capì che questo rompeva, entrava nel mercato in un certo modo, venne da me, voleva che io facessi fare all’artista delle cose particolari, e poi lo contattò lui direttamente, ci lavorò e così via. E lì si apre una situazione molto interessante perché immediatamente, mentre prima il mercato per le cose diciamo dell’Arte Povera e di una certa situazione di ricerca era un mercato di nicchia, per intenderci, con l’avvento della pittura immediatamente il mercato si apre, si apre in maniera addirittura rapida e violenta tant’è che anche i musei fanno subito mostre, le gallerie cominciano a vendere a prezzi molto alti. Però tutto questo…

S-L. Scusa se ci permettiamo di fermarti un attimo: perché? Cioè come mai prima, come tu hai detto, il mercato era di nicchia e poi con l’avvento della pittura…?

TR. Perché la pittura apre diciamo verso il collezionismo qualcosa che… cioè è chiaro che l’Igloo di Merz in una casa è un po’ scomodo, non lo sposti e non lo monti da solo, però un quadro lo movimenti con facilità, lo appendi alla parete, è un “oggetto” che il mercato può gestire meglio e quindi gli attribuisci una valenza economica “rapida” per così dire. C’è questo tipo di cosa che interviene, che è stata anche positiva nel tempo perché avendo aperto al mercato contemporaneo ha fatto sì che questo si aprisse anche nei confronti di un’arte più complessa e destinata ad un collezionismo particolare in grado di acquistare opere grandi e di più difficile collocazione.

Bisogna dire che negli anni questo tipo di arte ha spinto i collezionisti più illuminati a comprare degli spazi appositi per esporre le grandi opere della loro collezione, e guardate che il problema dello spazio è un problema molto importante. Come detto, negli anni 70 non c’erano in Italia spazi museali per l’Arte Contemporanea, questa è stata la ragione per cui alcune gallerie private hanno cercato sedi particolari per fare le mostre. Già Sperone in Corso San Maurizio aveva uno spazio di circa 200 mq, 220. Quando sono andato in Corso Tassoni (1976) avevo dato un’immagine diciamo diversa di quello che poteva essere una galleria. Sono gli anni in cui gli artisti americani avevano fatto una cosa importante alla città di New York: per i costi erano andati nella Bowery che era la parte più brutta di New York e avevano cominciato a prendere gli studi lì, questi studi erano fabbricati enormi, bellissimi.

MARIO MERZ, Tavolo a spirale per festino di giornali datati il giorno del festino , 1986, — Tondini in ferro, vetro, frutta, vegetali, fascine, quotidiani, neon — Esposizione: “Mario Merz” , ottobre 1976 , Galleria Tucci Russo, C.so Tassoni, Torino. Foto: Paolo Mussat Sartor

Non a caso in Corso Tassoni io avevo la galleria ma di fianco a me c’era Mario Merz come studio e sotto c’era lo studio di Calzolari ed era anche molto interessante questo rapporto tra artista e gallerista, cioè questo trait d’union continuo, seppur difficoltoso e drammatico per certi versi, però era molto interessante. Infatti quando io feci la prima mostra di Mario Merz nel ’76, che era Tavolo a spirale per festino di giornali datati il giorno del festino, lui aveva aperto anche il suo studio, per cui tra lo studio dell’artista e la galleria non c’era più nessuna differenza.

S-L. Fermiamoci a quest’ultima cosa che hai detto “tra lo studio dell’artista e la galleria non c’era nessuna differenza” che ci pare stabilisca proprio la diversità tra il gallerista di un certo tipo come tu sei e il mercante. No? Cioè il mercante è quello che bada esclusivamente al mercato, il gallerista deve badare anche al mercato però…

TR. Il gallerista deve difendere la propria linea culturale e per questo ha bisogno anche di un’economia che gli arriva dal mercato. Il mercante non ha questo problema, deve solo avere le opere di tendenza che il mercato gli richiede. Oggi ne abbiamo un esempio con un uomo di grande potere, questo americano che si chiama Gagosian, che ha gallerie sparse nel mondo, a Roma, New York, Sidney che so io, in Cina, e che fa esclusivamente il mercante: in poche parole questi signori riescono a comprarsi delle storie che non gli appartengono e le immettono sul mercato, però si mettono un bel fiore all’occhiello non so come dire.

S-L. Cosa intendi per storie che non gli appartengono?

TR. Nel senso che loro non hanno inventato assolutamente nulla, ma il potere economico gli permette di contattare e collaborare con artisti che invece sono nati in altri luoghi e con altre coscienze. Il problema è sempre lì e di conseguenza oggi l’immagine del gallerista si sta molto riducendo, l’immagine del mercante, anche molto per responsabilità dei media, è quella che è diventata più importante in un certo senso se volete, proprio perché il mercato è diventato più importante dell’arte, ma in tutti i sensi, non solo per le arti figurative, ma, tornando all’editoria, anche lì è così, dove vai a trovare quelle cose interessanti di un tempo? Le trovi nelle piccole case editrici che fanno ricerca, che poi vengono comprate e soggiogate dalle grandi case editrici e finisce tutto lì.

S-L. Il mercante può chiedere all’artista opere su commissione? Nel senso che nel momento in cui crea l’offerta il mercante può dire all’artista “senti io ho bisogno di tot tele” o anche questo è un discorso…

TR. Non proprio così ma…sicuramente riescono a muovere grosse economie che diventano allettanti per gli artisti che si sentono anche gratificati. Inoltre questi grossi mercanti diventano un terreno di investimento ricevendo anche denaro da gestire in modo speculativo all’interno del sistema dell’arte. Il collezionismo che tocca una galleria tipo la mia è un collezionismo che compra con coscienza, alla ricerca di contenuti, chiaramente anche attenti all’economia ma non come base primaria. Io negli anni quando è successo mi sono rifiutato di vendere a persone che volevano comprare per pura speculazione…

S-L. Mentre il mercante…

TR. Mentre il mercante l’avrebbe fatto volentieri.

(L’intervista continua alla prossima uscita dell’“Asino vola”)

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