Notte di Jannis Kounellis, 2009.
Qualche giorno fa Jannis Kounellis è morto. Per ricordarlo abbiamo deciso, noi della redazione, di pubblicare questo mio brevissimo scritto su una sua opera del 2009, scritto per altra occasione ma mai pubblicato. Si tratta di poco più di un pensiero, la registrazione di un’emozione che mi ha dato questo “quadro” –mi si dice che Kounellis amava definirsi “pittore”- un’emozione tutta contenutistica e politica, mi rendo conto. Certo, per parlare a fondo di un’opera come questa, sarebbe necessario che all’estrinsecazione dell’emozione seguisse anche un’analisi formale: ma, per questa, non posseggo gli strumenti essendomi dedicato tutta la vita all’esegesi di altro tipo d’arte. Lo so, oggi tutti s’improvvisano qualsiasi cosa, ma io non ho alcuna intenzione di seguire la moda. Pubblico queste righe soltanto con l’intenzione di trasmettere, per quanto è possibile, quest’emozione; che, anche se sono passati alcuni anni, provo ogni volta in cui mi trovo di fronte a quest’opera; come, per altro, a quasi tutte le altre di Kounellis.
di Gigi Livio
Notte. Notte della civiltà, notte dell’arte, notte della cultura, notte del teatro. Notte.
I cocci aguzzi di bottiglia di Kounellis non sono lì a delimitare il muro di un orto o di un giardino per dissuadere i male intenzionati a entrarvi ma si rivelano come allegoria di una offesa subita e di una offesa da arrecare. Lacerano un giornale –non certo a caso il “Corriere della sera”- e risultano segno dell’umanità ferita dove ciò che succede a Teheran è simbolo di tutte le repressioni e le oppressioni del mondo anche di quella artistica che resiste
malgrado tutto in un mondo che non sa più cosa farsene dell’arte, e cioè della coscienza critica della società, e che pertanto l’avversa in tutti i modi soprattutto rendendo l’arte puro intrattenimento per inverare la teoria, tipicamente borghese, che vorrebbe l’arte, come l’amore, libera e soluta da qualsiasi legame con la ragione ed espressione di un sentimento spontaneo e inconscio (Adorno). Questa invece è arte riflessa e riflessiva e come tale va non solo accettata ma certo interpretata oltre che gustata nella sua squisita dimensione estetica, quella dimensione cui il grande artista non può rinunciare se non a costo della cancellazione della propria unicità e identità.
E, dunque, quei cocci aguzzi devono anche offendere dopo aver messo a nudo la coscienza lacerata del grande artista;
invitano a non accettare passivamente ciò che sta succedendo alla vita e all’arte, ma a reagire, a tenere sempre ben presente che la grande arte, e quella moderna in modo particolare, esiste solo in quanto è coscienza critica della nostra vita. E’ proprio lì, in opere mirabili come questa, che le generazioni a venire potranno attingere per progettare il loro futuro; se ne avranno la forza e la capacità, ovviamente.