Sulla destituzione di Dilma Rousseff
di Gigi Livio e Ariela Stingi.
L’America Latina è un luogo dove, in questo momento, stanno succedendo cose terribili. I nostri mezzi di comunicazione di massa, come abbiamo già rapidamente visto, se ne occupano, non molto ma abbastanza per mettere in luce lo stato di decadimento in cui, sempre secondo loro e cioè secondo la propaganda targata Usa, sarebbero finiti alcuni paesi a causa del socialismo bolivariano; direttamente, Venezuela Bolivia e Equador, o indirettamente, Argentina e, appunto, Brasile. In Argentina le destre, che favoriscono gli interessi delle fasce a reddito medio, alto o altissimo la cui ideologia e la cui prassi coincidono con quelle delle multinazionali statunitensi al fine di sfruttare quanto più sia possibile le persone e le risorse naturali, hanno vinto le elezioni; in Brasile non ancora ed è quindi partito il procedimento di rimozione e destituzione della presidente Dilma Roussef accusata da supercorrotti di essere anch’ella corrotta.
Riportiamo qui di seguito due articoli su quest’ultimo argomento: il primo tratto da “Limes” e il secondo da “Le Monde diplomatique”. Nel primo è scritto:
“Dilma paga un conto che oltrepassa enormemente le sue responsabilità”
e il secondo precisa:
“Il governo di Dilma Rousseff avrebbe utilizzato il meccanismo del pedalage fiscale, vale a dire il ricorso temporaneo al prestito presso istituti pubblici per finanziare alcune spese, cosa che consente di differire la loro registrazione in bilancio. Diversi giuristi ritengono tuttavia che l’operazione non giustifichi la procedura di destituzione”.
Questa, infatti, è stata messa in opera appunto da personaggi corrotti e accusati formalmente di corruzione con l’appoggio massiccio dei mezzi di comunicazione di massa.
L’articolo di “Limes”, che a sua volta ne riporta uno di Roberto Vecchi, professore all’Università di Bologna, si conclude in modo decisamente interessante:
“La scena è nota: due Brasili, quello ricco e quello povero, sugli opposti versanti della contesa. Non è la lotta di classe, un passato che sembrava alle spalle. Ma un po’ le assomiglia”.
Infatti questo passato che gli squallidi ‘pensatori’ postmoderni vogliono farci credere sia alle spalle, e, ad abundantiam, abbia portato solo guai, alle spalle non è affatto. Semplicemente: la lotta di classe ha cambiato, spinta ineluttabilmente dallo sviluppo senza progresso della storia, modi e forme in cui si realizza. Per questo sarebbe necessario che la sinistra politica italiana, politica perché quella intellettuale è invece ben presente, desse a ciò che là è successo nell’ultimo quindicennio e che sta succedendo la giusta attenzione. Ma su questo, e cioè sull’abbandono dell’internazionalismo da parte della sinistra, ci sarebbe da scrivere un libro, e nemmeno di poche pagine. Anche perché, accenniamo soltanto, l’abbandono dell’internazionalismo vuol dire cacciarsi in un vicolo cieco.
Ricchi e poveri, sì, ma, meglio: sfruttati e sfruttatori (altro libro da scrivere). E proprio su questa linea ideologica, questa volta nel senso di ‘buona’ coscienza, concludiamo riportando dall’articolo di “Le Monde diplomatique”, un “cartello brandito fieramente da una giovane contestatrice: “Miserabile Dilma! La mia famiglia non può più assumere domestici, perché non ce la fa a pagare i contributi”. Il riferimento è “ai diritti concessi nel 2013 dal governo Rousseff ai 6 milioni di collaboratori domestici che conta il paese”: siamo sempre lì: servi e padroni.