Un’intervista a Moravia su 8 1/2 di Fellini

L'asino vola
12 min readApr 28, 2019

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di Paolo Ceratto

La nostra rivista è onorata di presentare un’intervista a Moravia, su 8 1/2 di Fellini. Dobbiamo questo testo alla cortesia del dottor Paolo Ceratto che ha registrato l’intervista tra il 1974 e la prima metà del 1975 in casa del romanziere, a Roma, sul Lungotevere. L’intervista, che Paolo Ceratto intende pubblicare in appendice a un suo libro dal titolo Il lungo film. Nella “capoccia” di Federico, in cui mette a frutto la sua conoscenza diretta del regista, è particolarmente interessante perché l’autore degli Indifferenti, nell’ accostare 8 1/2 ai Sei personaggi in cerca d’autore pirandelliani coglie uno dei punti fondanti dell’arte della modernità come arte che è tanto più grande quando sa riflettere su se stessa e sulla sua metodologia. E questa è una chiara definizione di ciò che si può intendere per realismo dell’arte moderna.

G.L. e A.S.

MORAVIA8 1/2 rassomiglia molto ai Sei personaggi di Pirandello e ad altre cose analoghe. Quale è l’origine di questi spettacoli, drammi o films? L’origine è la crisi del realismo come rappresentazione diretta ed oggettiva del reale. Prendiamo i Sei personaggi. Pirandello probabilmente, adesso io non ne sono certissimo perché anche conoscendo Pirandello non gliel’ho mai chiesto, ha cercato all’inizio di scrivere un dramma all’antica. Cioè un tale va in una casa d’appuntamenti e vi trova la figlia o la figliastra; una storia di incesto. Un dramma a forti tinte. Con ogni probabilità dopo aver scritto il dramma si accorse che non funzionava, che non era reale. Cioè che non aveva quelle qualità di realtà che fanno sì che un’opera d’arte sia una metafora.

1925: Sei personaggi in cerca di autore nella messinscena di Pirandello con Marta Abba.

Perché la questione è tutta qui: se l’opera d’arte non è una metafora non è realistica. Pare impossibile ma è così. Cioè ogni vera opera d’arte è una metafora. Quando non c’è la metafora non è realistica ed è irreale. Il vero, nudo e crudo, è irreale. Tanto è vero, come esempio, la riproduzione esatta del “vero” in certi quadri che si chiamano “gli Inganni” nella pittura sono irreali. Quindi l’opera d’arte è sempre una metafora.

Ora, cosa si domandò Pirandello … si domandò: io ho fatto un dramma, questo dramma è reale tuttavia mi sembra irreale, quale è la ragione? Eppure sono io che l’ho immaginato dunque ci deve essere qualche motivo interiore e allora tutto d’un tratto ebbe un lampo di genio, perché la cosa di Pirandello fa veramente geniale, e fu questo: io devo scrivere non il dramma del padre della sua figliastra, devo scrivere il dramma del mio rapporto con questi personaggi perché li ho inventati.

Cioè il dramma non è più fuori dell’autore, sulla ribalta, non è il dramma che avviene nella vita: è il dramma che avviene dentro l’autore in forma d’ispirazione. Cioè io ho inventato il padre e la figliastra: perché li ho inventati? Che rapporto esiste tra me e questo padre e questa figliastra? E infatti poi Pirandello lo spiega in maniera idealistica, hegeliana: il valore sintetico dell’immaginazione… 8 1/2 è anche quella una crisi di un regista che vorrebbe fare un’ opera realistica, oggettiva, e si accorge che non ci crede e allora esamina il suo rapporto con la realtà che vorrebbe rappresentare.

In altri termini che cosa vuol dire questo? Vorrei aggiungere qualche cosa ancora perché è praticamente tutta la vita che sto studiando questo problema e ho scritto anche un romanzo al riguardo che si chiama L’attenzione. Il realismo come tale, nel senso naturalistico, manca di una dimensione e questa dimensione nell’arte moderna viene da una specie di, come dire, dimensione critica. Perché esaminare il proprio rapporto coi personaggi vuol dire fare un’operazione critica. Questa operazione critica aggiunge una profondità, una dimensione è una solidità a tutto l’insieme. Ciò che prima aveva una dimensione ne ha due. Facciamo ora un paragone storico. Questa dimensione additiva, sussidiaria, la può ritrovare nel coro greco delle tragedie.

Cosa è il coro? I personaggi agiscono direttamente sulla ribalta, ad un certo punto il coro interviene: si sospende l’azione ed il coro canta. Che cosa canta? Commenta quello che è avvenuto. Scenicamente che cosa succede? L’autore ha aggiunto una dimensione critica a ciò che è avvenuto. Antigone ha fatto quello che ha fatto, il coro commenta e noi abbiamo un’Antigone a più lati. Ora questo nella tragedia greca trovava un motivo nel fatto che la tragedia era religiosa. E cioè era indispensabile sottolineare il carattere di metafora di ciò che avveniva sulla scena. Nel teatro di Pirandello invece, ma anche nel teatro moderno in generale, incontriamo la crisi del realismo e quindi lo sdoppiamento del teatro nel teatro.

La crisi del realismo, insomma, è una di quelle cose storiche. Cioè è la crisi del concetto di forma che è venuta con la crisi del personaggio. Praticamente, nell’arte moderna c’è stata una grande crisi verso l’epoca del dadaismo, tra il 1910 e il 1920. Questo fu veramente un periodo di crisi. Crisi degli stili, delle forme, dei personaggi, di tutto quanto. Allora, cosa succede? Accade che da allora il vero argomento del teatro, del romanzo, non è più la società ma bensì è il rapporto tra lo scrittore e la società. Cioè il vero argomento è in fondo il mezzo espressivo: come fare a rappresentare il reale. Per questo l’arte moderna è così sofisticata. Per questo, in un certo senso, il realismo è molto difficile se non impossibile, perché oggi è indispensabile una dimensione critica. Questa dimensione critica in Pirandello ed 8 1/2 è data appunto da questa formula del teatro nel teatro, del teatro del teatro anzi, ci vuole un genitivo. Oppure del cinema del cinema in cui l’argomento è l’ispirazione cinematografica.

CERATTO — Sono pienamente d’accordo con lei, personalmente però, trovo 8 1/2 più ricco di argomenti.

Federico Fellini all’epoca di 8 1/2, Publifoto (foto Mariani).

MORAVIA 8 1/2 fu un momento di crisi di Fellini veramente grave. Fellini se ne accorse e la sormontò attraverso il mezzo stesso della sua crisi.

CERATTO — Ecco, in Fellini ci fu una profonda auto-analisi.

MORAVIA — A me successe una cosa molto simile. Io avevo scritto il romanzo L’attenzione in Jugoslavia, a Dubrovnick. Una mattina uscii con il proposito di buttarlo nel mare perché non mi piaceva più; eppure era scritto, la storia era finita e stranamente era molto simile a quella di Pirandello nei Sei personaggi in cerca d’autore. Cioè un uomo che fa l’amore con la figliastra, ecc. ecc.. Poi quando il romanzo ondulava sul mare mi venne l’idea che la vera storia, il vero romanzo, era quello mio, del mio rapporto con questi personaggi. Allora inventai tutta una storia di uno che scrive il suo diario e che questo diario diventa il romanzo…

Tutto questo vuol dire che un’arte come quella di 8 1/2 e di Pirandello è un’arte di una classe, la borghesia, che in un certo senso non ha più contatti diretti con la realtà. Sì, insomma, la crisi è quella sociale. Dato che la borghesia è alienata essa ha bisogno di meccanismi molto complessi per arrivare a toccare qualche cosa. E comunque questi meccanismi sono interiori. Prendiamo il “Nouveau roman” francese oppure anche il romanzo ultimo di “Tel Quel” e quella gente lì. L’argomento vero ormai dell’arte europea -in quella sudamericana c’è una forza di rappresentazione sociale ancora forte- sono i mezzi espressivi, cioè: come si fa a rappresentare? Non è più il popolo, il dramma della vedova o la caccia alla volpe… ma bensì come faccio a rappresentare la vedova? Come faccio a rappresentare la gente sfruttata? Quali sono i mezzi e gli strumenti adatti? In sintesi: cosa mi succede nella testa quando cerco di rappresentare queste cose?

CERATTO — Parenteticamente, Morte di un commesso viaggiatore si doveva intitolare qualcosa come Dentro la mia testa (Inside my head). Il suo discorso su questa drammatizzazione, di ciò che avviene dentro la testa dell’autore, sembra particolarmente pertinente a 8 1/2 .

MORAVIA — Se ben mi ricordo ciò che scrissi riguardo 8 1/2 fu questo. 8 1/2 è molto simile a Pirandello con la differenza che dopo i Sei personaggi, Pirandello continuò sulla strada dello sdoppiamento nella commedia e così via, dell’Enrico IV. Lui continuò questo sdoppiamento tra vita e immaginazione, tra vita e arte per tutta la vita. Invece Fellini, che ha un fondo crepuscolare, ironico e in fondo realistico, dopo ha ripreso… un po’ per la sua strada. Insomma è stato un momento di crisi vera di Fellini che lui ha saputo utilizzare meravigliosamente bene perché è un grande artista. In altri termini, il realismo è consistito nell’oggettivizzare la crisi.
CERATTO 8 1/2 le è piaciuto molto quindi…
MORAVIA — Sì, decisamente molto. È un film molto bello e uno dei più impegnativi da parte di Fellini. Mi è piaciuto anche perché io sono fautore di un’arte difficile, culturale e con forti tensioni ideologiche e questo c’è in 8 1/2.Dopo, Fellini si è lasciato un po’ andare. Amarcord per esempio un film bello ma è sostanzialmente un film sentimentale. In Italia però piace più Amarcord che 8 1/2.

Caterina Boratto sul set di 8 1/2. “fotografia di Tazio Secchiaroli © Tazio Secchiaroli/David Secchiaroli courtesy David
Secchiaroli.”

CERATTO — Anche all’estero….

MORAVIA — Per forza. In ogni caso, la vera base di 8 1/2, almeno secondo me, è la crisi della rappresentazione realistica. È il trasferimento “dell’attenzione” dello scrittore dai fenomeni sociali come tali, al suo rapporto con questi fenomeni. Cioè non è che lo scrittore parli di cose unicamente interiori. Il mondo esiste, fuori di noi, però noi non ci occupiamo più di questo mondo ma bensì della nostra relazione con questo mondo. Ciò, mi sembra, è l’essenza della quale 8 1/2 è un’ottima illustrazione. Nel mio libro La noia la crisi del rapporto con il reale è sotto tre forme. Come pittore il protagonista non ha più rapporti con la materia. Come individuo e uomo egli è un soggetto che non ha più rapporti con l’oggetto. E come amante è un uomo che non ha più rapporti con la donna. Il libro ha questi tre piani: l’amoroso, il creativo e quello puramente filosofico. In 8 1/2 Fellini si è posto la domanda: “io non so come fare ad esprimere la realtà”, e ad essa rispose: “dipingerò un regista che non sa come fare ad esprimere la realtà”. Cioè invece della realtà, mettiamo del Satyricon o di Amarcord, lui ha deciso di raccontare la propria crisi.

CERATTO — Il problema della realtà artistica, della mimesi, ha affascinato gli scrittori da sempre. Secondo lei, Moravia, nella letteratura contemporanea come viene materializzata la realtà?

MORAVIA — Normalmente in letteratura, la realtà si realizza con l’impostazione della voce. Un romanzo nasce da una particolare impostazione vocale; non nasce con i fatti. La letteratura è tutta vocale. Il momento stesso che Proust ha cominciato “Je…” tutto il romanzo e la ricerca del tempo perduto esce da quella prima frase. È una questione di impostazione di voce, e cioè un fatto rapsodico, poetico.

CERATTO — Una spiegazione psicologica nell’arte o nell’esempio di 8 1/2 quale sarebbe?

MORAVIA — Secondo me una spiegazione psicologica nella letteratura e nell’arte è sempre la stessa. Dobbiamo risalire a Reich. Cosa dice Reich? Dice che noi abbiamo un ego che è una corazza caratteriale. In fondo ne parla come di qualcosa di abbastanza spregevole, che ci serve unicamente per “comportarci” in società. Ora Reich dice anche che l’uomo deve disfarsi di questa corazza caratteriale ed esprimere l’inconscio. L’artista fa precisamente questo. Egli si mette in una condizione di disfarsi dell’ego davanti alla macchina da presa o davanti alla carta e di esprimere l’inconscio collettivo. Perché l’artista non esprime una cosa personale. L’inconscio non verrebbe poi espresso se non ci fosse ciò che volgarmente è chiamato il mestiere. Cioè da una parte l’artista si mette in uno stato così detto di grazia, si disfa della propria personalità sociale, dell’ego. Dall’altra però senza neanche accorgersene utilizza l’esperienza proprio tecnica. Allora abbiamo questo abbinamento dell’esperienza tecnica di altissimo o alto livello che sia e questo flusso dell’inconscio che intendiamoci è puramente formale. Perché l’inconscio non si esprime nei contenuti, si esprime invece nella sensuosità della frase o della pennellata.

Cioè l’inconscio è un fatto di sensibilità e non di idee. Allora questo abbinamento della sapienza tecnica che si acquista… ma però, intendiamoci, la tecnica secondo me neanche si acquista ma è una forma dell’ispirazione. In parole povere l’inconscio trova da sé la sua forma. Il momento che la macchina da presa o la penna fanno qualche cosa avviene un coagulamento. Troviamo una specie di lava. Questa specie di lava prende delle forme come l’eruzione di un vulcano e quindi una forma riconoscibile. Intendiamoci, questa è solo la mia teoria. Le sto dicendo quello che penso e credo veramente. E ciò che penso è che i grandi artisti, o gli artisti in generale, non hanno difficoltà a disfarsi dell’ego. Invece ciò che io chiamo gli adulti… perché io distinguo l’uomo in artista e in adulti… cioè l’artista si disfa della corazza caratteriale con estrema facilità. Se lei va in un salotto, lei troverà tra gli adulti ingegneri, dottori, avvocati, commendatori, professori… mentre l’artista rimane privo di una personalità sociale.
CERATTO — La persona di Jung.
MORAVIA — Sì. L’artista difficilmente accetta la propria personalità sociale come una cosa veramente seria. Ecco: se ne serve come una maschera dando appunto la sensazione che sta recitando. Tra gli adulti di un salotto l’artista finge. In realtà egli è un’altra cosa, un individuo con delle facoltà speciali.

Ma tornando un attimo a 8 1/2 , lei avrà certamente notato una cosa nel film di Fellini e cioè che il dramma del regista è molto meno bello di tutte le immagini irrazionali che vengono fuori nei sogni. È meno bello perché quella è la materia del film che poi Mastroianni non farà.

CERATTO — È il magma, l’inconscio a cui accennava prima.

MORAVIA — Sì. Esso appare come una serie di scampoli colorati. Di cose, di pezzi.

CERATTO — Trovo che il suo punto di vista su 8 1/2 è molto simile a quello di Christian Metz in La semiologia del cinema quando Metz parla della costruzione in abisso di 8 1/2 .

MORAVIA — Non ho mai letto Metz.

(Gli porgo il libro e Moravia comincia a sfogliare il capitolo dedicato a 8 1/2)

MORAVIA — Ecco, infatti lo dice anche lui: “8 1/2 appartiene a quella categoria di opere d’arte che riflettono se stesse… I problemi di Guido sono gli stessi di Fellini che riflette sulla propria arte.”

(Moravia va a controllare la data di pubblicazione del libro di Metz)

MORAVIA — Metz ha ragione; ma poi mi sembra così chiaro. Sì, lui cita Paludes di Gide. Strano che non abbia citato Pirandello che secondo me è il caso più famoso di questo genere di arte.

CERATTO — Quale furono secondo lei, Moravia, le ragioni di questo sviluppo o cambiamento di formula artistica dall’ottocento a Pirandello, Gide o Fellini?

MORAVIA — Lo sviluppo fu questo: a partire da Pirandello, Joyce e molti altri romanzieri il mondo del romanzo si è spostato dall’esterno, dei personaggi e dell’uomo, all’ interno. Forse un esempio banale è il mezzo più istruttivo per illustrare ciò che ho appena detto. Il romanzo dell’ottocento, prendiamo Stendhal oppure Balzac cosa svolge? Questi romanzieri descrivono continuamente la loro società: pranzi, feste, caccia alla volpe, corse al trotto, balli, ricevimenti . . . Ma come mai tutto ciò? Semplicemente questo era il materiale che interessava a quella società. A partire da Joyce o anzi da Dostoevskij tutto diviene interiore; ciò che i personaggi sentono dal di dentro e tutto il loro mondo è un mondo interiore. Il mondo di Pirandello e quello di Otto e mezzo è interiore. Ma anche i romanzi di Kafka sono interiori, il suo mondo è la coscienza umana. In sintesi: Il processo è una storia di un senso di colpa; Il castello è la storia di una nostalgia di trascendenza; La metamorfosi è la storia di una alienazione, la de-umanizzazione industriale, moderna. Ora queste sono estrinsecazioni, oggettivazioni di stati d’animo interiori, particolari all’individuo nella società. Non è più il mondo di Stendhal. Del giovanotto… che è poi un rifacimento della storia di Napoleone.
CERATTO — Cioè?
MORAVIA — La storia di Napoleone che parte dal nulla ed arriva ai più alti gradi. Perché tutto il romanzo dell’ottocento è basato sulla vita di Napoleone. È cioè il tipico romanzo borghese del quale Napoleone era modello emblematico. Il tenentino in Corsica che diviene imperatore dei francesi e padrone di mezzo mondo. Tanto è vero che in letteratura la coda al personaggio napoleonico esiste nel Delitto e Castigo. Ancora Raskolnikov è l’ultima appendice di questo tipo. Il romanzo europeo da Stendhal fino a Dostoevskij si svolge sulla carriera napoleonica, che è quella del giovane borghese che fa fortuna e diviene ricco, potente, nobile…
CERATTO — Sembra ciò che Moraldo nei Vitelloni si aspetta di trovare prendendo il treno per Roma….

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