È partita una «caccia alle streghe»
di Guido Baldi
Un giornale dal preciso orientamento politico, «La Verità», il 17 ottobre 2018 ha pubblicato un articolo di tal Francesco Borgonovo, aspramente polemico contro la rubrica Che cosa ci dicono ancora oggi i classici del manuale di Letteratura italiana I classici nostri contemporanei, di cui sono coautore. Tale rubrica prende spunto dai classici del passato per suggerire riflessioni su aspetti della realtà presente, al fine di rendere i testi più interessanti agli occhi dei giovani, agevolando il non sempre facile accostamento ad essi e in tal modo aiutando il lavoro degli insegnanti. Oltre alla riflessione sul presente, l’intento della rubrica è anche far percepire la distanza che separa quei testi da noi, in modo che gli studenti prendano coscienza del divenire storico, obiettivo essenziale in un momento come questo, in cui la visione dominante tende ad annullare la profondità della storia.
L’accusa mossa dal giornale è di strumentalizzare indebitamente i grandi autori del passato per «indottrinare» gli studenti secondo un’ideologia di sinistra. L’atto di accusa è stato rincalzato da un ulteriore servizio, uscito il 28 ottobre a firma di tal Adriano Scianca, che estende la polemica ad altri testi scolastici e ad altre case editrici, con l’invito ai lettori di segnalare altri casi analoghi di «indottrinamento», e poi ancora da altri articoli nei giorni successivi.
Ora, è un diritto per un giornale discutere anche polemicamente posizioni diverse dalla propria. La questione è il modo in cui lo fa, che può essere corretto o scorretto, e molto. E questo offre l’occasione per alcune riflessioni di più vasta portata, sulla didattica e sul modo di comportasi della stampa, che vanno oltre la polemica contingente.
Contestare a chi la pensa diversamente il diritto di affrontare in un testo scolastico problemi di attualità secondo il proprio orientamento, e scatenare contro i testi sgraditi una sorta di «caccia alle streghe», non è certo un comportamento democratico, rispettoso della pluralità delle idee e della libertà di espressione. Ed è inquietante, perché ricorda un passato che chi ha un minimo di senno non vorrebbe mai veder riapparire (e che invece per tanti aspetti oggi sembra volersi riaffacciare).
Ma, oltre che in nome di principi ideali generali, la questione va considerata sul piano didattico. Si può temere che chi attacca così duramente posizioni sgradite dei testi scolastici auspichi l’instaurarsi a scuola di un pensiero unico, magari del «libro di Stato» di infausta memoria. Mentre chi conosce i problemi educativi sa bene quanto sia vitale e fecondo nella piccola comunità di una classe, come in quella più grande della società, il pluralismo delle idee, il loro libero confronto e sì, persino il loro conflitto, e quanto sia importante per la maturazione intellettuale e civile dei giovani, per la formazione di una personalità critica, che li metta in grado di inserirsi responsabilmente nella collettività.
La scuola non deve aver paura delle idee, di tutte le idee, senza distinzioni, anzi è proprio il luogo deputato in cui le idee più varie possono incontrarsi e confrontarsi. Viceversa interventi censori, quali quelli larvatamente insinuati dalla «caccia alle streghe» del giornale, se arrivassero a frenare o a impedire questo confronto, arrecherebbero un danno irreparabile alla scuola e alla sua funzione, e più largamente alla società intera. Senza contare che violerebbero principi consacrati dalla Costituzione, tra cui la libertà di espressione e di insegnamento. Ancora in questi giorni, dinanzi a provvedimenti che minacciano il pluralismo dell’informazione e agli attacchi violenti del governo alla stampa di opposizione, il Presidente della Repubblica ha insistito sul valore irrinunciabile del pluralismo delle idee e sulla libertà di opinione.
Occorre dunque essere vigili, perché se il fascismo come regime, in Italia, fortunatamente è consegnato agli archivi della storia, le tentazioni autoritarie e illiberali sono sempre in agguato.
Con tali argomenti si possono tacitare coloro che accusano gli insegnanti e i compilatori di testi scolastici di «fare politica» e di «indottrinare» gli studenti, anziché svolgere i programmi: in realtà quel «fare politica» e quell’«indottrinare» è semplicemente usare i programmi per stimolare gli allievi a prendere coscienza dei problemi della pólis, di cui presto faranno parte attiva o già fanno parte esercitando il diritto-dovere del voto. La scuola non ha senso se resta chiusa in un recinto asettico, cercando di evitare ogni contagio da parte della realtà esterna, ma anzi a quella realtà deve aprirsi se non vuole diventare un’istituzione morta e mummificata. E questa è cultura, è formazione autentica, non certo «indottrinamento»: è toccare problemi vivi, che sollecitano la riflessione personale, aprono la mente, animano il confronto e la discussione in classe. «Indottrinamento» è un termine caro alla stampa di un certo orientamento, e guarda caso è sempre usato contro chi la pensa diversamente, mai con chi ha le stesse posizioni del giornale.
Sempre restando sul piano dei principi generali, è poi inquietante il modo in cui il quotidiano in questione conduce la polemica. Quando si discutono idee diverse dalle proprie occorre prima di tutto comprenderle, poi riportarle correttamente e avere argomenti validi e razionali per confutarle, cercando di dimostrane l’inconsistenza o la fallacia: il che presuppone onestà intellettuale in chi conduce la polemica. A queste condizioni, la discussione e la polemica sono non solo ben accette ma anche utili, perché stimolano a riflettere a fondo sui propri principi e sui propri argomenti, a consolidarli e ad approfondirli. Al contrario, la polemica della «Verità» è costruita sullo stravolgimento addirittura caricaturale delle idee altrui, che fa dire all’avversario ciò che mai si sarebbe sognato di dire. È improbabile che ciò sia avvenuto per incomprensione, visto che nel testo criticato le idee sono espresse in modo perfettamente chiaro. Quindi lo stravolgimento è intenzionale, deliberato: e questo è profondamente disonesto e scorretto.
Mi sembra necessario fornire esempi. Il titolo dell’articolo del 17 ottobre in prima pagina proclama: «A scuola usano Manzoni contro i populisti»; poi l’articolo comincia:
«Quanto siamo ignoranti. Non sapevamo, per dire, che Alessandro Manzoni fosse un fiero avversario dei populisti, un difensore dell’euro con il coltello fra i denti»; e più avanti: «Chi critica l’euro è un ignorante, un bifolco seicentesco».
In realtà la rubrica del manuale dice semplicemente che la polemica manzoniana sulle idee false intorno alla carestia può farci riflettere su altre idee false che circolano oggi, come ad esempio che la crisi che ci travaglia dal 2008 sia colpa dell’euro, mentre la causa scatenante è stata la crisi dei subprime negli Stati Uniti, con la conseguente speculazione finanziaria. Che è un dato oggettivo, inoppugnabile, che dovrebbe essere noto a tutti, e che è impossibile sia ignorato dal giornalista. Quindi nulla di quanto afferma l’articolo si trova nella rubrica del manuale, che si sostenga che Manzoni sia «un fiero avversario dei populisti» e «un difensore dell’euro con il coltello fra i denti». È evidente che sono stupidaggini inventate dall’articolista. Il che significa che Borgonovo stravolge deliberatamente e vergognosamente le idee che vuol criticare. Il guaio è che, incauto, cita anche testualmente il discorso originale, da cui il lettore può agevolmente constatare l’avvenuto stravolgimento.
Il successivo articolo del 28 ottobre attribuisce addirittura al manuale la tesi che «Manzoni era filo UE»: si può constatare la correttezza di tale attribuzione; inoltre sostiene che viene usato Parini «per giustificare la delinquenza dei migranti»: mentre semplicemente si ricorda che nell’ode Il bisogno Parini sostiene che è la miseria che spinge a delinquere (anche questo è un dato oggettivo, l’articolista si legga l’ode), e si afferma che questa tesi del poeta può far riflettere sull’oggi e può aiutare a capire perché certi migranti siano spinti a commettere dei reati: a capire, non si vuole «giustificare» assolutamente nulla.
Ecco, questo è il modo in cui una certa stampa affronta la discussione con chi la pensa diversamente, e dà l’idea del suo livello. Il giornale in questione si fregia del titolo «La Verità», addirittura con l’iniziale maiuscola. È evidente dagli esempi addotti (ma tutte le affermazioni degli articoli sono della stessa qualità) che la campagna contro i libri di testo sgraditi non riflette minimamente il titolo. A meno che esso non vada inteso in senso antifrastico, e cioè che il suo significato sia proprio il contrario di ciò che afferma.